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Mollo tutto e mi metto a fare vino «Ma come si fa?»
  Aprile 17, 2024     Assistenza Marketing  

8 produttori e produttrici tra Nord e Sud Italia che hanno fondato da poco la loro azienda raccontano gioie e fatiche del mestiere. E qualche consiglio utile per chi sogna di mollare tutto e fare il vigneron.
Mollo tutto e mi metto a fare vino. Bellissimo, vero? Un sogno che, chi ha la passione per il vino, almeno una volta nella vita si è trovato ad accarezzare. E poi? Poi c’è chi quel sogno l’ha tirato fuori dal cassetto in cui l’aveva riposto con cura in attesa di tempi migliori e lo ha fatto davvero. Ne abbiamo incontrati otto, di questi vigneron dell’ultima ora, produttori e produttrici che hanno fatto del proprio sogno il proprio mestiere, da Nord e Sud Italia, cambiando vita, in un ritorno alla terra che negli ultimi cinque anni, riporta Coldiretti, ha coinvolto soprattutto i Millennials. A loro abbiamo chiesto come hanno fatto, quanto hanno speso, da cosa sono partiti e su cosa hanno puntato. E, soprattutto, ci siamo fatti dire come potremmo fare noi, se un domani decidessimo davvero di mollare tutto e metterci a fare vino.

Mollo tutto e mi metto a fare vino: ma come si fa?

Il mestiere del vigneron è affascinante, ammettiamolo. Ma iniziare non è affatto semplice, soprattutto per chi non ha un’impresa di famiglia alle spalle e non è cresciuto, o cresciuta, con le forbici e la cassetta da vendemmia in mano. Aprire un’impresa agricola vitivinicola oggi significa infatti avere a disposizione fondi da investire e avere competenze che spaziano dall’agronomia ed enologia a economia, finanza e ingegneria gestionale. Arianna Placidi , enologa e imprenditrice umbra, aveva 29 anni quando ha aperto la P.IVA nel 2017 e si è messa a produrre vino da sola, in casa prima e nella cantina di un amico poi, puntando tutto sui vitigni autoctoni della sua terra, il Grechetto e il Sagrantino, perché per lei il vino è espressione del territorio da cui proviene. «L’investimento più grande che puoi fare quando cominci, è farti affiancare dalle persone giuste. Non basta saperne di vino, io sono enologa, ma di tutto quello che avrei dovuto fare fuori dalla vigna e fuori dalla cantina, non sapevo niente. Trovare le consulenze giuste per iniziare è fondamentale, dal commercialista alle persone che ti aiutano a sviluppare il tuo business plan e la comunicazione».

Il progetto enologico: nasce prima il vino o il business plan?

Il primo step per avviare un’azienda vitivinicola è quello di presentare le pratiche per avviare il proprio progetto, in modo conforme alle norme vigenti. E, a fronte del capitale che si ha a disposizione, capire se si vuole partire acquistando le uve da terzi, comprando o affittando delle vigne già esistenti – piantare vigneti nuovi è infatti strettamente regolamentato in Italia per via dell’ultima direttiva europea OCM che prevede che ogni anno si possa aumentare la superficie vitata solo del 1% di quella esistente – e vinificando in casa, con tutti i permessi igienico-sanitari previsti, oppure costruendo da subito la propria cantina. Tommaso Cappa e Agnese Caprioli sono una coppia, enologo lui e architetta lei, che nel 2020 ha deciso di provare a fare vino da una vecchia vigna che cresceva attorno alla casa dei nonni a Dogliani, una delle DOC più piccole e meno conosciute del Piemonte, ma tra le più pregiate. Anche loro hanno puntato sui vitigni autoctoni, «perché il vino che ci piace è quello su cui vogliamo intervenire il meno possibile e questo lo puoi fare solo con dei vitigni che sono qui da sempre, che il territorio ha accolto ancor prima che arrivassimo noi – ma, raccontano, di aver iniziato senza business plan né un progetto enologico. La prima vendemmia del 2020 è stata quella che ci ha dato la direzione. E la vigna attorno a quella vecchia casa che avevamo la fortuna di avere è diventata il nostro laboratorio a cielo aperto». Giulia Monteleone
, che produce vini sulle pendici scoscese dell’Etna, ha invece progettato a lungo il suo cambio vita e non avrebbe potuto iniziare senza un business plan e un piano di investimenti chiaro e definito. Con lei il marito e il padre, hanno cambiato vita tutti e tre insieme. «Costruire un brand da zero è complicato. Il primo passo per noi è stato investire sul territorio e sulla vigna. Poi abbiamo costruito il brand, la sua immagine visiva, dal sito alle etichette, per raccontare l’azienda e la nostra filosofia. Finalmente, finito il Covid, nell’ultimo anno abbiamo iniziato con l’export, ma ci consideriamo ancora una startup. Ora ci siamo concentrando sulla cantina e l’enoturismo».
Costruire la vigna, cioè, come scegliere il territorio giusto
Dicevamo, se non hai della terra di proprietà, le strade possono essere queste: acquistare vigne vecchie, affittare vigne da terzi o comprare le uve. E qui la scelta del territorio è fondamentale. Scegliere un territorio molto vocato, come possono essere le Langhe o la Franciacorta, oppure un territorio ancora molto agricolo, come l’Umbria o, ancora, un territorio difficile da coltivare come la Valtellina o la Val D’Aosta, prospetta scenari di investimento molto diversi. Fabrizio Testa, che dal 2019 insieme a tre amici produce vino in Valtellina, racconta: «Fare vino qui non è facile, è viticoltura di montagna. Trovare dei vigneti interessanti non è scontato. Siamo riusciti a farlo solo perché abbiamo scelto, dal 2017 al 2019, di abitare qui, conoscere i signori anziani che abitano questi monti e gestiscono le vigne da quando sono giovani. La loro esperienza e conoscenza – delle tecniche culturali, del clima, delle tecniche migliori da usare in vendemmia che, lo ricordo, qui si fa a mano perché la pendenza dei vigneti arriva anche al 60% – è una vera e propria ricchezza che abbiamo dovuto recuperare».

Fare il vino: quanto costa partendo da zero?

Veniamo all’investimento. Un ettaro di vigneto nelle Langhe o in Franciacorta può costare anche 1 milione di euro. In Umbria, racconta Arianna Placidi, si trova ancora della terra a 30mila euro. L’Etna è invece una via di mezzo, racconta Giulia Monteleone, e qui un ettaro può costare tra i 100 e i 150mila euro. Ciò che è importante lo dice bene Antonella Lombardo, che ha aperto la sua azienda nel 2019 e nel 2020 è stata insignita del premio di Miglior Viticultrice dell’anno secondo Gambero Rosso – prima donna e prima azienda in Calabria a riceverlo per il suo Greco di Bianco – è che:«Il vino deve essere espressione del territorio. Dal vino deve uscire il profumo, le sensazioni, le emozioni del luogo in cui nasce». La normativa, italiana ed europea, sin dai primi anni del Novecento sancisce questo legame profondo, tra vino, qualità e terroir, attraverso le certificazioni e, in anni più recenti, i disciplinari di produzione, che dichiarano i limiti qualitativi per la produzione di un certo vino, in relazione al luogo di provenienza.
Sì, ma quanto costa iniziare dunque da zero? Sommariamente, il calcolo potrebbe assomigliare a questo. Il costo di produzione di un vino di media qualità, prima del recente aumento dell’inflazione, si aggirava intorno ai 6 euro. A cui si aggiungono le spese di distribuzione e di promozione. Dunque, ipotizzando che il costo a bottiglia possa essere tra i 20 e i 30 euro, i guadagni vanno dal 10% dei ricavi in su. In un arco temporale di minimo 10 anni, che è anche il tempo necessario perché una vigna arrivi alla sua maturità produttiva. Prima di demoralizzarvi, però, ricordiamoci quel che dicevamo all’inizio e cioè che l’investimento dipende dal territorio e dal progetto enologico che si ha in mente.
Vediamo il caso concreto di Arianna Placidi: «Ho acquistato la terra e ho speso 30mila euro, poi le attrezzature per la cantina e ne ho spesi altri 144mila. Prima ho creato il brand, ho commercializzato il vino, cioè ho fatto fatturato, e poi ho chiesto un mutuo che ho ottenuto solo grazie a questo risultato concreto. Non volevo avere i miei genitori come garanti, voleva dire ipotecare la loro casa. I miei mi hanno dato una mano iniziale durante la mia formazione e mi hanno sostenuta anche all’inizio per pagare i primi affitti e prendere le prime botti, prestandomi 10mila euro. I primi anni di P.IVA sono stati onerosissimi, dal punto di vista fiscale soprattutto. L’investimento è talmente alto per una persona normale, come mi ritengo io, che non è facilmente avvicinabile, neanche con i vari bandi europei – io ne ho fatti tre, comunque. Ma tra il Covid, la guerra in Ucraina e l’inflazione, al posto dei 370mila euro che pensavo di dover spendere per iniziare, oggi ne ho spesi quasi 600mila. Io sono andata avanti comunque perché non mi piace perdere. E sentivo che se non l’avessi fatto ora, a 29 anni, quando l’avrei fatto? È stato un salto nel buio e in questi sei anni sono cresciuta moltissimo».

Quanto è fattibile fare vino nel tempo libero?

Fare vino nel tempo libero o come secondo lavoro può essere una strada per chi vuole partire, ma non ha a disposizione il capitale necessario. Rischiare, ma con un investimento minimo, è stata la scelta di Tommaso Cappa e Agnese Caprioli: «La parte economica ci costringe a capire quali sono le priorità in cui investire. Al momento il nostro progetto è una side hustle per entrambi, il che vuol dire portare avanti a una doppia vita. Per noi l’obiettivo fino a ora è stato rientrare nei costi. Poi, per un domani, sappiamo che esistono finanziamenti per giovani in agricoltura e questo lo potremo fare solo quando diventerà per l’uno o per l’altra l’unico lavoro».La side hustle, infatti, può essere portata avanti comunque solo per un periodo di tempo limitato perché fare vino è un lavoro che impegna tanto e sempre di più, soprattutto se si sceglie di seguire la produzione in prima persona e in tutte le sue fasi. Elisabetta Sedda , che dal 2019 produce vini in Val D'Aosta e fa il primo Moscato Bianco secco macerato della regione, racconta: «Nei primi due anni di attività facevo quattro lavori per potermi permettere di fare il mio vino. Poi è arrivato mio fratello a darmi una mano e oggi non solo riesco a fare solo questo, ma stiamo pensando di assumere una persona che ci aiuti in vigna e in cantina».

IGT, DOC E DOCG: quanto conviene puntare sulle denominazioni per iniziare?

Sulla convenienza, anche dal punto di vista dell’investimento, di fare il proprio vino all’interno di una DOC, DOCG o IGT, i pareri dei vigneron si dividono. Quel che è certo è che se da un lato seguire il disciplinare forse è più facile per chi inizia da zero, perché significa seguire una ricetta già impostata e inserirsi già con una legittimità sul mercato, dall’altro significa anche meno sperimentazione e più competizione. Andrea Pandin
 ha aperto la sua azienda, Tenuta L’Armonia, in provincia di Vicenza nel 2010 ha scelto sin da subito di stare fuori dai consorzi e dalle denominazioni di origine: «Secondo me, se hai un buon prodotto, una buona strategia di comunicazione e un’etica professionale forte, per cui quello che racconti è davvero quello che fai, le certificazioni e le denominazioni sono superflue. Avere il coraggio di darsi una identità e ritagliarsi il proprio spazio, in un territorio, è stata la mia scelta: in una terra così vocata come la mia, volevo raccontare storia nuova che era la nostra storia, la mia storia». Diversa è stata invece la scelta di Silvia Cirri che ha iniziato la sua avventura nel 2015 a Bolgheri, in una delle DOC più famose al mondo (che però non nacque proprio come tale, anzi). «Sin dall’inizio abbiamo scelto di avere le certificazioni di denominazione per una parte della produzione. Il Consorzio di Bolgheri è molto attivo e per noi che siamo piccoli produttori è importante avere il consorzio alle spalle per essere conosciuti, per ricevere formazione ed è anche un modo per abbattere costi».

OK, ho fatto il vino, e adesso?

Bisogna raccontarlo. E mettersi in rete con altri produttori e produttrici può essere utile, non solo per farsi conoscere, ma anche per condividere le sfide che capitano lungo il percorso. «Per una realtà piccola che non si può permettere n direttore commerciale, i contatti, farsi vedere, far assaggiare il vino, è fondamentale», racconta Fabrizio Testa di Ascesa vini, «nonostante viviamo in un mondo dove il digitale e la comunicazione online conta molto, la relazione personale con i clienti e i distributori è ancora fondamentale. Per noi partecipare alle fiere è stato importante, Ce ne sono tante, quelle più grandi come il Vinitaly e il ProWein, sono quelle che storicamente sono di riferimento, ma la cosa migliore è trovare quella che più dà risalto alla propria realtà, soprattutto se si è piccoli e si ha iniziato da poco». In questo senso, aderire a progetti associativi e di comunicazione a partire dalla propria identità è fondamentale. Per le donne c’è l’ Associazione Nazionale Donne Del Vino , di cui sono socie Silvia Cirri e Antonella Lombardo, e per le donne under 35 è nato da poco il progetto Sbarbatelle , di cui fanno parte Arianna Placidi ed Elisabetta Sedda perché «ci permette di incontrare altre produttrici con le mie stesse problematiche, condividere fatiche, ma anche gioie e soluzioni».

È un lavoro difficile, ma ne vale la pena?

A questo punto, dovremmo aver capito che fare vino è un lavoro difficile, che richiede un investimento economico importante e tanta, tanta, passione e pazienza. Come dice Antonella Lombardo: «La vigna è questo, ogni giorno puoi perdere quello che hai fatto nei 365 precedenti perché non sai mai cosa può succedere, allora devi essere costante e paziente». Un lavoro duro che lo diventa ancora di più se sei donna, nonostante il numero di donne nel mondo vitivinicolo sia in aumento – lo gli ultimi dati Censis, per cui in Italia quasi il 30% delle cantine con vigneto annesso sono dirette da donne, così come il 12% delle cantine industriali. «Essere presa sul serio e risultare credibile è davvero difficile» racconta Giulia Monteleone, «La Sicilia è una regione che ha una grande storia agricola, in cui le donne sono sempre state presenti, ma una presenza silenziosa. Le persone non sono abituate a trattare con una donna e a fidarsi che sta facendo un buon lavoro. Se non avessi avuto i miei compagni di viaggio, mio padre e mio marito, sarebbe stato molto più difficile». Un’esperienza che condividono anche Elisabetta Sedda e Arianna Placidi: «Se sei un uomo è diverso. Come donna devi anche fare i conti con lo stereotipo per cui se tu hai una tua azienda poi non riesci a portare avanti la famiglia. Ma nell’ultima generazione questo cambiamento lo vedo e sono speranzosa».
Ma ne vale la pena. Su questo si concorda dal Veneto alla Sicilia. «Sin dall’inizio volevo generare un arricchimento reciproco, tra la mia azienda e il territorio», dice Andrea Pandin, «abbiamo creato una realtà, utile e funzionale, che scambia anche con la comunità sociale con cui siamo inseriti. Svegliarsi la mattina e pensare di essere utili dopo quattordici anni di lavoro è ciò che negli anni mi sta ripagando della fatica». Sull’arricchimento reciproco, tra azienda vitivinicola e territorio, concorda anche Giulia Monteleone: «Credo molto in questo settore per lo sviluppo sociale della Sicilia. Per il Sud Italia in generale, l’agricoltura può essere un modo per i giovani per restare». Passando per la Toscana: «Quando facciamo le degustazioni in cantina», chiosa Silvia Cirri, «facciamo sentire gli aromi dei vini con la frutta fresca, le erbe, il legno. Raccontiamo tutto il percorso alle persone che assaggiano il vino: perché è nel vino che si sentono tutte le scelte produttive, dal campo al bicchiere, e le caratterstiche del territorio. Il sapere qualcosa di più dà sempre qualcosa di più».

8 consigli se stai pensando di iniziare a produrre vino

  1. All’inizio è bene allocare un budget sullo staff tecnico: commercialista, agronomo, avvocato. (Arianna Placidi di Tenuta Placidi)
  2. Bisogna trovare la propria identità. (Giulia Monteleone di Monteleone Vini dell’Etna)
  3. Abitare il territorio e mettersi in ascolto delle persone che lo vivono da più tempo è importantissimo per iniziare. (Fabrizio Testa di Ascesa Vini)
  4. Per il tuo progetto parti dai risultati che vuoi ottenere, non concentrarti sulla singola azione. (Andrea Pandin di Tenuta l’Armonia)
  5. Abbi pazienza, non avere l’ansia di fare tutto subito. (Agnese Caprioli e Tommaso Cappa di Tommaso Cappa Vini)
  6. Devi proprio essere convinta, non è un lavoro dove si diventa ricchi, non è un lavoro facile. Ma se è la tua passione, fallo. (Elisabetta Sedda di Vintage Vini)
  7. Abbi pazienza, non avere l’ansia di fare tutto subito. (Agnese Caprioli e Tommaso Cappa di Tommaso Cappa Vini)
  8. Devi proprio essere convinta, non è un lavoro dove si diventa ricchi, non è un lavoro facile. Ma se è la tua passione, fallo. (Elisabetta Sedda di Vintage Vini)



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