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Perché il match Meloni-Schlein non è alla pari

Perché il match Meloni-Schlein non è alla pari
Da: Girovagando Pubblicato In: Maggio 04, 2024 Visualizzato: 428

Perché il match Meloni-Schlein non è alla pari

Il 49% degli italiani non si fidano dell’Europarlamento. Si spiega così il parlare di Europa di Giorgia Meloni. Di lotta. Scrivete Giorgia sulla scheda. L’ha detto a Pescara alla convention di FdI. Gli serve per coprire l’irrisolto in Italia (bonus, prebende postdatate e i ristori ancora attesi dall’Emilia Romagna a un anno dall’alluvione). E per mirare l’avversaria Schlein che, non per sue responsabilità, in Europa, macina fumo. Dalle contorsioni sulla guerra in Ucraina dove la molteplicità di posizioni si riflette nelle liste Pd appena chiuse (Tarquinio-Strada vs Bonaccini-Zingaretti). Una Schlein mani libere sul conflitto ucraino poteva mettere di fronte la premier al suo slancio da armata Sturmtruppen. Se poi Meloni ci chiarisse le notizie dell’invio in gran segretoa Kiev di missili a lungo raggio, di altre armi prima del G7 e l’acquisto massiccio di armi per fare scorte, gli italiani ringrazierebbero.

Non sono tra coloro che si perdono nel triste dibattito contro i leader di partito che si presentano alle elezioni senza accettare lo scranno di Strasburgo. Le europee sono un’occasione per parlare dei problemi dell’Italia ed è bene che i leader dei partiti si presentino (dovrebbero farlo anche nelle altre nazioni) perché poi saranno loro, anche senza sedere in Parlamento, a decidere le sorti del Vecchio Continente ed eleggere per nome e per conto delle singole famiglie politiche il Presidente della Commissione e i governi di riferimento il Presidente del Consiglio d’Europa. Lo dico al dibattito eterno del Pd. Candidare Schlein, ovunque, inserendo il nome nel simbolo le avrebbe permesso di essere la comandante in capo del Pd, equipaggiata di tutto punto per affrontare la premier. E non il capro espiatorio degli errori cumulati dal Pd fino a oggi. Un cambio di faccia al quale avrebbe corrisposto quello identitario bloccando così sul nascere il Meloni pensiero, chiacchiere e recriminazioni di ‘quando c’eravate voi del Pd’. La scelta di tenere la segretaria del Pd nascosta e far di tutto per una vittoria mite e temperata rilascia l’impressione che dietro di lei si è aperta la riffa per il dopo 9 giugno. Sindrome Tafazzi. Un moto quanto mai inopportuno perché ci sarà chi rinuncerà a votare ‘il Pd di quei dirigenti’ che faranno le scarpe a Schlein. Sarebbe un voto a un Pd che non li rappresenta.  Gli elettori pretendono  sintesi. Semplificare. Bianco e nero. Le varianti sono caos. Come i manifesti della campagna elettorale. Da Forza Italia a Fratelli d’Italia, appunto, c’è la faccia del loro leader, Tajani e Meloni, mentre in quelli del Pd una foto e uno slogan nella fascia rossa sottostante.

Così il format Meloni vs Schlein, che si presenterà nel faccia a faccia da Vespa, dieci giorni prima del voto, è fallace sul nascere. È un confronto zoppo.  Sulle questioni da dibattere c’è una morta gora svantaggiosa per Schlein. Più concentrata sui temi italiani. Bene insistere sulla Sanità, sulle liste d’attesa fiume ma il discorso purtroppo finisce presto perché al primo passante gli viene da chiedersi perché non misero sulla Sanità, a suo tempo, nel Conte Due, i denari del Bonus 110, un caveau de lux di quattrini al vento a chi i soldi li aveva per  ristrutturare casa lasciando un debito a carico degli italiani per generazioni. Eppoi. La transizione ecologica. Casa e auto elettrica, sulla quale la Meloni picchia perché sa che è una roba buttata lì. Senza aver mai prima spiegato chi paga. È il paradigma del conflitto  ucraino-russo, le sanzioni e gli alti costi dell’energia ricaricati ancora oggi sulle bollette del gas degli italiani. Comprese le nazionalizzazioni delle imprese italiane sul territorio russo, un gravame economico non indifferente.

Lo ricordo perché tutte le elezioni sono una questione di portafoglio. Gli italiani reclamano essere la loro prima preoccupazione. Il Censis avverte che la crisi favorirà astensionismo e populismo (è la crisi economica non perché i leader una volti eletti non vanno a Strasburgo). Va bene chiedere il salario minimo ma che dire sugli stipendi fermi da oltre 20 anni o sui 5 milioni di lavoratori autonomi e partite Iva senza rappresentanza? Chissà se la Schlein potrà osare oltre l’ostinazione di togliere il job act. Una delle tante fisse con le quali non si pigliano voti. Pure la massiccia dose del pericolo fascista è passata all’indomani della proclamazione di due eroi moderni, uno scrittore e una conduttrice,  sul patibolo sacrificale. Fratelli d’Italia sull’antifascismo ha risposto con il lungo applauso tributato al nome di  Berlinguer, durante l’intervista della figlia Bianca a La Russa, alla convention di Pescara. Per dire che la pacificazione, addirittura con i missini, c’è stata quando il segretario del MSI, Almirante, partecipò al picchetto d’onore al feretro del leader comunista. I conti di riconoscenza reciproca furono  saldati allora. Per i contemporanei meglio sarebbe una bella discussione sul rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, è proprio vero che l’Italia ripudia la guerra?

 

Il match Meloni-Schlein non è alla pari. Meloni sta sull’Europa, Schlein, nascosta, sull’Italia, difensore dei danni commessi dal Pd. Ma dalle europee non aspettiamoci grandi cose. L’unico precetto infallibile sarà quello di sempre. Immutabile. I debiti vanno saldati. E per l’Italia non ci saranno scappatoie nazionaliste e favoritismi sovranisti che tengono.


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